Dentro la mente di un fondista

Le gare si vincono prima con la testa e poi con la forza? Diego Polani è lo psicologo della nazionale e ci aiuta a capire quali sono i meccanismi mentali che regolano una gara in acque libere

 
di Francesca Galluzzo

 

Andare avanti non è facile, serve la concentrazione, ma anche quella a volte se ne va. L’istinto è quello di rallentare, magari anche di fermarsi, ma bisogna arrivare fino alla fine. Le gare si vincono con la testa prima che con i muscoli, questo lo dicono tutti, ma in una gara che dura diverse ore la cosa risulta più vera che in altri casi. Ma come si fa ad allenare la mente a sopportare una simile fatica? Risponde Diego Polani, psicologo sportivo che da anni lavora con la Nazionale di nuoto di fondo. Quanto conta l’aspetto psicologico in una disciplina come il nuoto in acque libere?

«Nel nuoto in acque libere, così come in tutte le altre discipline che prevedono uno sforzo molto prolungato nel tempo, come ad esempio la maratona, il confronto con la propria mente risulta particolarmente importante. L’atleta deve sapere in che momento può dare di più e quando, invece, gli conviene regolare le forze. In più c’è il problema della concentrazione, che è impossibile da mantenere per un periodo di tempo troppo prolungato e che quindi deve essere,
da un certo punto di vista, dosata come le forze fsiche. Nel corso degli anni ho sperimentato un sistema abbastanza innovativo che consiste nel risvegliare l’attenzione in momenti chiave della gara attraverso un input particolare».
In che modo si comincia il lavoro con un atleta?
«Bisogna innanzitutto conoscere gli atleti vivendo con loro e avendo a che fare con loro tutti i giorni, poi, attraverso l’utilizzo di test scientifici, comuni a molte discipline sportive, si ottengono dei risultati da cui è possibile inventare degli esercizi diversi per ogni singolo atleta. Si cerca di lavorare su quelle che sono le emozioni più profonde di ogni ragazzo, esaltando a seconda della persona emozioni forti come possono essere quelle di rabbia oppure emozioni più tenui».
Quali sono i problemi più comuni su cui si è trovato a lavorare?
«Il problema più comune, soprattutto se si parla di ragazzi giovani, è quello dell’impazienza. Alcuni vogliono ottenere risultati in pochissimo tempo senza rendersi conto che l’allenamento mentale ha bisogno di tempo esattamente come quello fsico. Nei ragazzi c’è spesso la voglia di arrivare a risultati di alto livello troppo presto, senza nel frattempo aver costruito una solida base».
Qual è il momento più difficile durante una gara?
«Il momento in cui l’atleta avverte più difficoltà è generalmente quello in cui ha già tanti chilometri nelle braccia e il traguardo è ancora lontano, quindi intorno alla metà gara. In questi momenti, anche se non se ne rende conto, assume una sorta di automatismo di movimenti simile a quello della maratona».

Con quale atleta ha avuto modo di riscontrare i risultati migliori?
«Risultati ottimi sono arrivati dal lavoro con Alice Franco che nell’ultimo annoha avuto dei miglioramenti notevoli. C’è però da mettere subito in chiaro che i suoi risultati non sono soltanto il prodotto di un lavoro mentale, ma anche, e soprattutto, di un miglioramento a livello atletico. Il lavoro fatto con lei consisteva, in sintesi, nell’ancoraggio ad uno stimolo sensoriale, ovvero nell’abituare la mente a raggiungere il massimo livellodi concentrazione nel momento in cui viene udita una determinata parola. Abbiamo iniziato a provare questi esercizi durante i collegiali, poi lei ha continuato a lavorarci in maniera indipendente durante le sedute di allenamento con il suo allenatore».
Quanto tempo può durare il lavoro con un atleta?
«Non c’è un tempo preciso, dipende dal ragazzo. Il lavoro con Alice è durato all’incirca un anno, ma noi ci conoscevamo da molto prima. In ogni caso non si tratta mai di tempi brevi perché gli esercizi vanno piano piano metabolizzati».
In una disciplina come il nuoto in acque libere, in cui l’atleta è chiamato a confrontarsi con gli elementi naturali, esistono delle fobie particolarmente diffuse e, nel caso, in che modo è possibile far fronte a questo problema?
«Le fobie esistono e sono spesso legate a certi animali come ad esempio le meduse o, in un caso specifico, a dei serpentelli presenti nelle acque del lago Balaton, ma capita anche che sia l’acqua in sé a creare dei problemi. Succede che a spaventare sia l’acqua molto alta o quella dove non si vede il fondale.
In tutti questi casi non è possibile fare un discorso comune, ma bisogna lavorare sul singolo caso cercando di individuare la causa di questi problemi e di queste fobie».
Oltre agli atleti della Nazionale di nuoto di fondo lei segue anche ragazzi che gareggiano in altre discipline, come ad esempio il nuoto sincronizzato. Esistono punti in comune tra i diversi tipi di lavoro?
«In realtà non molti perché i fattori su cui si va a lavorare sono diversi. Per il nuoto di fondo è necessario indirizzare gli sforzi sulla resistenza e sul mantenimento della concentrazione, mentre per quanto riguarda il nuoto sincronizzato ultimamente abbiamo lavorato sul concetto di gruppo e di squadra».
A livello nazionale come è vista oggi la figura dello psicologo sportivo?
«In Italia purtroppo c’è molta confusione su questa figura. Lo psicologo sportivo, per potersi definire tale, deve essere un professionista altamente specializzato, mentre ci sono persone che si spacciano per mental coach o cose simili senza averne titolo e vanno, in un certo qual senso, a squalificare il lavoro di tutti glialtri. Lo psicologo dello sport aiuta l’atleta andando a scavare nel profondo,
mentre tante altre persone si limitano a compiere un lavoro superfciale che spesso danneggia più che aiutare. E’ un peccato perché la figura dello psicologo sportivo è nata in Italia, con il primo convegno organizzato a Roma nel 1965, ma come spesso accade molti paesi stranieri hanno ripreso l’idea e l’hanno sviluppata rendendola più effcace».

Come vede la Nazionale italiana in prospettiva dei prossimi impegni internazionali, i Giochi Olimpici e i Campionati Europei di Piombino?
«Conosco tutti i ragazzi della squadra e in questo caso parlo da tifoso oltre che da psicologo sportivo. Spero possano fare veramente bene e hanno la potenzialità per farlo sia come singoli che a livello di nazionale. Sono un gruppo molto compatto, si sostengono uno con l’altro e anche quando si trovano opposti in gara sono sempre e comunque squadra».

 

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